In studio arriva una giovane donna: “Sono arenata in un vicolo cieco” mi dice.
Dopo vari incontri porto alla luce il fatto: il nocciolo della questione è l’identificazione con un’immagine di sé del passato che non vuole lasciare andare.
Riflettendo ho iniziato a pormi la questione: quanti casi di disarmonia interiore sottendono l’incapacità di sciogliere la cristallizzazione che una certa immagine di noi, che era, non è più?
Quanto è rassicurante l’abitudine, il ruolo a cui, anche inconsciamente, abbiamo aderito?
Ci aggrappiamo a quel “noi conosciuto” che ci fa stare comodi ma infelici. Non riusciamo ad accettare che l’anima stia gridando (attraverso i sintomi) ad essere “altro”. Il passato è la “coperta di Linus” anche se insoddisfacente. Il passato è il mio investimento e quindi non posso permettermi di accettare di “aver fallito”, di dover buttare tutto all’aria. Il passato spesso è un’idealizzazione in cui abbiamo creduto e ora, abbandonarlo, significherebbe delusione di noi.
Lasciare la presa sul passato implica anche un nuovo impegno: ricostruzione. Ricostruzione non solo psichica ed emotiva ma di noi stessi nella nostra totalità.
Ecco allora che la paura inizia a farla da padrone e tutto sembra così rischioso e imprevedibile.
Il non vedere un’altra prospettiva ci fa sentire impotenti e fragili: inizia così la fase della stagnazione.
La nostra vita è sospesa in un limbo sterile che porta insoddisfazioni e uno strano senso di inquietudine. Si ha la sensazione di essere nelle sabbie mobili e ci si lascia sprofondare poco a poco.
Chi è il responsabile di tutto questo? Noi stessi.
Se non si chiede aiuto si può rimanere incastrati in un circolo vizioso che alimenta un’immagine negativa di noi: inadeguata, impotente e fragile.
Ci si può sentire in balìa di qualcosa di più grande e allora si cade in una vera e propria “crisi esistenziale”.
Come può aiutare uno psicologo? Può aiutare a sentirsi sostenuti e compresi. Può aiutare concretamente a guarire da uno stato ansioso/depressivo donando nuove prospettive e facendo riemergere quei punti di forza e quelle risorse psichiche che si erano nascoste ben bene sotto coltri di immobilismo.
Mi è capitato spesso, nel corso delle sedute, di vedere quella nuova luce negli occhi delle persone che vivono questo momento transitorio di difficoltà. Una nuova luce perché finalmente si riesce a capire che si può fare “altro”.
Il passato, allora, non è più identificato solo come “giusto” e “sicuro”, ma come un vincolo troppo oneroso per la nostra libertà.
Poco a poco si affaccia all’orizzonte una delle caratteristiche principali che porta all’evoluzione: il coraggio (letteralmente “agire con il cuore”).
Un percorso psicologico permette una vera e propria fortificazione del Sé attraverso l’accettazione di ciò che è stato e la sua elaborazione, permettendo di lasciar andare “quel filo”.
Il vecchio Io non viene dimenticato ma non funge più da àncora. Nel processo di transizione alla nuova identità e alla nuova potenziale vita, si aiuta la persona ad affrontare la crisi e ad avere nuove consapevolezze e strumenti per il presente e il prossimo futuro.
Questo cammino porterà a investire fiducia nel cambiamento, nel nuovo, con conseguente senso di fiducia in sé e nei propri più profondi bisogni e desideri.
La metamorfosi è finalmente avvenuta.